Mollo tutto e rimango – episodio 2

Riassunto della puntata precedente: ho mollato il lavoro in ufficio e avevo due settimane per potermene andare in viaggio ma non riuscivo a decidere dove andarmene. Aver tempo libero e non andare da qualche parte? Mai successo prima in vita mia

Prima di decidere di dare le dimissioni avevo prenotato una breve vacanza a Londra. Il programma che mi ero entusiasticamente organizzata prevedeva: stanza a Camden, zona comoda a tutto e piena di locali nonchè una bella camminata lungo il canale, corso alla Beer Academy, visita a un birrificio, street art tour. Bastava aggiungerci un musical e un concerto live ed era il perfetto city break. Mi sono divertita tantissimo? No. Mi sono sentita tristemente sola. Sì, tristemente. Nel fare le cose che mi interessavano non provavo alcun piacere. Non ci trovavo alcun senso a farle da sola. Avrei voluto condividerle con qualcuno. Volevo essere lì, a fare quelle stesse identiche cose, ma non volevo essere sola. E allora ho capito perchè non riuscivo a decidere dove andare, o meglio perchè non volevo andare: perchè in questo momento della mia vita la mia priorità è un’altra. Voglio trascorrere il mio tempo con una persona. E il lungo viaggio, IL viaggio, quello sempre sognato dovrà attendere il momento della mia vita in cui avrò voglia di farlo. Pensare di partire non mi metteva in corpo l’adrenalina a cui ero abituata, quel brivido di piacere che mi dava energie per organizzare il viaggio. Mi metteva ansia. Non vedevo la felicità della scoperta, vedevo solo la fatica. Succedeva questo perchè si è esaurita la voglia di viaggiare? No, succedeva questo perchè con il lavoro d’ufficio ero arrivata a un tale livello di esaurimento che anche aprire la pagina di un libro diventava un’azione faticosa. Ciò di cui avevo bisogno non era andarmene, era fermarmi. Fare reset, zero, niente programmi, niente di niente. La mia vita è sempre stata organizzata da quando ho 18 anni. Lavorare da quest’ora a quest’ora, studiare da quest’ora a quest’ora, corsi per migliorare il cv, correre da una parte all’altra della città… basta. Ho bisogno di buttare via l’orologio, dovesse anche solo servirmi per prendere un treno o un aereo.

Ed è così che il viaggio avventuroso si è trasformato in una staycation. Mi alzo la mattina e decido cosa fare giorno per giorno. Provo gioia in piccole cose che non hanno nulla di avventuroso o “figo”: andare al cinema di pomeriggio, scattare foto quando esce il sole, rimanere a letto a leggere, fare una colazione sana, bandire i ready meals, pulire la casa giornalmente. Persino andare dal medico è un’esperienza del tutto nuova ora che non lavoro più: posso dire di sì a qualunque orario mi venga proposto, e non devo incastrare l’appuntamento tra mille altre cose e correre per riuscire ad arrivare in tempo.

Ho smesso di correre. Ora cammino, a passo lento.

Happy end, dall’oggi al domani ho trovato la pace dei sensi e provo un’inattaccabile felicità zen? Non è andata esattamente così.

La prima settimana dopo il mio ritorno da Londra ho avuto frequenti attacchi di panico e incubi notturni. Continuavo a ripetermi che stavo sprecando un’occasione straordinaria, due settimane di tempo è un bene preziosissimo, il tempo è il bene così prezioso, difficile da trovare, perchè volevo buttarlo via? C’erano così tante cose che potevo fare, posti da visitare, amici da andare a trovare. Ero davvero una stupida a buttare via quest’occasione. Stupida, stupida, stupida, mi ripetevo.

Fermarmi è stato difficile perchè la società moderna ti impone di essere sempre in movimento. Dappertutto, in ogni momento, il messaggio con cui siamo bombardati è: Fai qualcosa. Lavora. Produci. Guadagna. Se stai fermo sei un fallito o un depresso. Non si può stare fermi, se non lavori cosa fai? Siamo immersi fino al collo, anzi testa compresa, in questo mare di continui stimoli alla produttività che dimentichiamo chi siamo e perchè facciamo le cose che facciamo. Chi vuole tirarsene fuori deve lottare contro i propri demoni interiori, l’ambiente esterno insinua continuamente dubbi. Perchè? A fare quello che fanno tutti ci si sente rassicurati: se tutti lo fanno, non può esserci niente di sbagliato. A fare una scelta controcorrente, invece, ci si ritrova continuamente a chiedersi: ho fatto una cazzata?

Un episodio significativo è stato un dialogo con una carissima amica a cui raccontavo dei miei attacchi di panico. Le dicevo che volevo fermarmi, ma avevo difficoltà a farlo perchè continuamente pensavo che avrei potuto impiegare il mio tempo in modo migliore. Il suo consiglio è stato: “Datti una schedule”. “No”, ripetevo, “ho sempre avuto una schedule, ciò che di cui ho bisogno è il contrario, devo liberarmi della schedule”. E lei insisteva che dovevo organizzarmi il tempo, mi avrebbe fatto bene fare qualcosa, farmi un programma delle cose che dovevo fare adesso che ho lasciato il lavoro. Perchè il punto per tutti è che non puoi stare fermo, se non guadagni devi pensare a come guadagnare. Il mio punto invece è che sono stanca perchè ho sempre corso, e ora voglio stare ferma. Darmi una schedule significava semplicemente passare da un’agenda di impegni stabiliti da altre persone a un’agenda di impegni che io stessa che mi ero data. Ma era proprio il “dover fare” ciò di cui mi volevo liberare, quella maledetta sensazione di non aver fatto i compiti per casa, come se la vita non fosse altro che una lista di cose da fare che spuntiamo giorno per giorno. Ho finito per cambiare discorso perchè ho capito che non c’era verso di farle capire che darmi una schedule mi avrebbe ulteriormente stressata, non avrei mai ricaricato le batterie e il ciclo vizioso non si sarebbe mai interrotto.

Rendiamocene conto: non c’è niente di sbagliato nel fermarsi.

(continua)

Lago Trasimeno, Umbria

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