Rispettiamo gli angeli del soccorso alpino

La sicurezza in montagna è un atto intelligente di amore per se stessi ma anche una dovuta forma di rispetto per i volontari del soccorso alpino e speleologico (CNSAS).

Val la pena ricordarlo: i soccorritori che salvano la vita a escursionisti, alpinisti e speleologi in difficoltà sono VOLONTARI. Quando agiamo in maniera superficiale mettiamo a rischio la nostra vita ma anche la loro.

Da ricordare sempre: il soccorso alpino è volontario

Non so se lo sapevate. Io l’ho scoperto solo due anni fa durante il corso di escursionismo base che ho frequentato alla sezione CAI di Perugia.

Avevo sempre dato per scontato che il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico fosse un’organizzazione pagata dallo stato, con personale stipendiato che svolge questo come lavoro full time. Sono rimasta sconcertata quando ho scoperto che non è così. Non riesco proprio a capire come sia possibile che l’Italia paghi l’esercito ma non un servizio socialmente più utile come il soccorso alpino.

Ok, quest’ultima frase è una mia opinione personale, condivisibile o no. È invece oggettivo affermare che i soccorritori in montagna e in grotta sono persone che dedicano il loro tempo libero a salvare vite umane mettendo a rischio la loro stessa vita SENZA RICAVARNE ALCUN GUADAGNO ECONOMICO. Sono persone estremamente qualificate, che hanno seguito un percorso di formazione lungo, serio e difficile e sono in grado di compiere operazioni complesse e rischiose.

Potete farvi un’idea della complessità delle operazioni di soccorso e dei rischi che corrono i membri del CNSAS guardando il film Senza possibilità di errore disponibile gratuitamente online.

Il tempo che i membri del CNSAS dedicano a quest’attività viene tolto agli affetti, al riposo (ricordiamoci che questa non è la loro professione, quindi svolgono un lavoro “normale” come tutti gli altri) e al divertimento. A volte anche al lavoro “normale”: alcune operazioni sono interventi di più giorni, durante i quali ovviamente i soccorritori sono impegnati full time.

Per fare questo la legge italiana riconosce loro dei permessi lavorativi, ma può accadere che il totale annuale delle ore disponibili non sia sufficiente a coprire le ore necessarie alle operazioni di soccorso e così il soccorritore continua a svolgere la sua funzione di aiuto prendendo permessi non retribuiti.

Vorrei spiegare questo punto in maniera più chiara: non solo l’operatore del soccorso alpino non guadagna facendo soccorso alpino, ma CI RIMETTE PURE SOLDI. E rischia pure LA PELLE.

Ora, non siete d’accordo con me che queste persone siano angeli?

Lo sono, credetemi. Ho conosciuto un paio di loro durante il corso di escursionismo e sono rimasta colpita dal loro altruismo e dalla loro umiltà. Rimarrà per sempre nella mia mente l’immagine di uno di loro – un omone forte e coraggioso che prende e va dove c’è bisogno – che si commuove stringendo in braccio un micino tirato fuori dalle macerie del terremoto.

Quell’incontro ha cambiato completamente il mio approccio all’escursionismo. Non vedo più la sicurezza come una questione di amor proprio, perché mi sono resa conto che le mie sciocchezze possono causare danni anche ad altre persone. Non trascurarla è diventato un imperativo.

Alte vie e cammini: la sicurezza è attitudine, non altitudine

Ora tutto questo vi sembrerà di interesse nullo per voi se il vostro camminare è questione di qualche passeggiatina in montagna. “Mica scalo montagne…”, “Mica faccio cose difficili”, “No, ma dai…”. E invece è proprio qui che vi sbagliate.

Negli ultimi anni il numero di operazioni di soccorso alpino è aumentato esponenzialmente.

Non stupisce, il numero delle persone che va a camminare in montagne è notevolmente aumentato in anni recenti e probabilmente continuerà ad aumentare. Purtroppo non tutti questi nuovi amanti della montagna hanno la consapevolezza di cosa significa andare per sentieri e affrontano le camminate in quota come fossero delle passeggiate al parco cittadino.

L’aumento del numero di incidenti in montagna, con conseguente aumento delle operazioni di soccorso che si rendono necessarie, è direttamente collegato all’aumento di persone inesperte che prendono sottogamba i potenziali rischi di un’escursione in montagna.

Fa riflettere che una percentuale molto bassa delle persone che richiedono un intervento del soccorso alpino (credo intorno al 5%) sia iscritta al CAI. Questo non perché con l’acquisto della tessera CAI si viene in possesso di superpoteri che proteggono dagli incidenti, ma perché i soci del club alpino hanno esperienza in montagna e sono tendenzialmente più sensibili alle tematiche della sicurezza.

Un atteggiamento comune dei neofiti della montagna è quello di trascurare i rischi pensando che la montagna diventi rischiosa solo a partire da un’alta quota. E così si avventurano su per i sentieri con scarpe inadeguate (persino in infradito!), senza considerare il tempo che cambia all’improvviso, una diminuita visibilità che può far perdere l’orientamento, la disidratazione dovuta al caldo, un vento che fa precipitare di 5 gradi la temperatura percepita e altri fattori che possono rappresentare l’inizio di una sfortunata disavventura.

Molti incidenti in montagna sono dovuti a piccole sciocchezze che separatamente non rappresentano un problema ma che sommate insieme creano una situazione di pericolo. Eliminare tutti i fattori di rischio che è possibile eliminare rende meno probabile un incidente.

Con questo, e qui torniamo all’argomento dell’articolo, non solo evitiamo di rovinarci una bella giornata all’aria aperta ma evitiamo anche che i membri del soccorso alpino debbano partire per venire a salvare dei cretini che hanno fatto una palese cazzata.

Insisto. Le risorse del soccorso alpino non sono illimitate, né in termini di operatori né in termini di mezzi. Quindi una squadra di soccorritori che parte a prendere me non può venire a prendere te. E se oltre a me e a te c’è anche Toni da andare a prendere, e poi Mario, e poi Menego e poi Giuseppina, e poi … finisce che qualcuno lo vanno a prendere quando ormai è troppo tardi.

Ecco perché impegnarsi per ridurre al minimo le possibilità di incidenti è un atto d’amore verso se stessi e verso il prossimo.

Non si elimineranno mai le possibilità di incidenti perché l’escursionismo in montagna, così come l’arrampicata, la mountain bike, il torrentismo e altre attività all’aperto, È per sua natura un’attività rischiosa. Però si può evitare una gran quantità di incidenti banali che ciucciano energie al soccorso alpino e in questo modo rendere disponibili più energie per gli incidenti che purtroppo accadono nonostante tutte le accortezze. Questi incidenti banali non capitano sulle vette più alte del mondo ma su montagne considerate alla portata di tutti.

L’attenzione per la sicurezza non dev’essere una questione di quota ma un’attitudine mentale. Lo dobbiamo alle persone che generosamente mettono a disposizione degli altri il loro tempo, le loro competenze e le loro stesse vite.

Nell’anno dei cammini ricordiamoci la sicurezza

Quest’articolo era nelle mie bozze da due anni, più o meno da quando ho conosciuto i membri del CNSAS umbri. Come tante altre volte mi è capitato con questo blog ho scritto di getto una serie di appunti e poi l’articolo è rimasto lì e quasi dimenticato.

Ho deciso di ritirarlo fuori perché ho sentito che quest’anno è cruciale ribadire l’importanza del camminare in sicurezza.

Causa covid, attualmente c’è molto interesse per le vacanze all’aria aperta e per esperienze attive. Il camminare nelle sue varie forme (che siano i cammini, l’escursionismo in montagna di uno o più giorni) è al top nella lista di desideri di viaggio per il 2020.

Tutto bello? Insomma, non proprio.

Il campanello di allarme m’è scattato leggendo gruppi Facebook e blog di viaggio in cui le persone chiedono consigli su quali cammini e alte vie fare. I consigli che ho visto dare mi hanno lasciata a dir poco perplessa: a persone che si dichiarano completamente nuove all’esperienza di un cammino di più giorni sono state consigliate esperienze come La Via degli Dei o le alte vie in montagna.

Cito La Via degli Dei perché è un cammino noto, molto frequentato, e quest’anno gettonatissimo. Mi sembra l’esempio perfetto per un discorso sulla sicurezza.

Siccome è “un cammino” allora si è portati a pensare che tutti lo possano fare. Beh ragà, ‘sto cammino non è proprio una sciocchezza…  intanto vi dovete scavalcare l’Appennino, che non è esattamente la Pianura Padana. Vi aspettano tappe lunghe anche più di 30 km e con dislivelli di oltre 1000 metri. Dire a tutti “sì, sì, lo puoi fare” mi sembra un atto sconsiderato.

E poi le alte vie. Per quanto un’alta via possa essere di livello facile è sempre – che diamine! – un’alta via. Dire “Sì, sì, puoi farla da sola” a una persona che si dichiara inesperta di montagna mi sembra un atto molto sconsiderato. Il fatto che ci sia gente che lo fa non significa che la cosa debba essere incoraggiata.

Io credo che a volte rinunciare è un atto più coraggioso e degno di maggior stima di un’avventura portata a termine fregandosene di potenziali rischi.

Voi che ne pensate?

La sicurezza in montagna non è poi così difficile

La sicurezza è tanto importante e poi però non così impegnativa. Per andare a camminare in sicurezza non è necessario fare i corsi impegnativi che frequentano i membri del CNSAS. Seguire alcune piccole regole di buon senso fa già una grande differenza.

Qui di seguito vi riporto giusto l’abc della sicurezza, quei gesti facili facili che ognuno di noi può fare senza sforzo. Per approfondire l’argomento rimando al sito Sicuri in Montagna a cura del CNSAS.

Non esagerare

La regola d’oro in montagna è: mai strafare. Scegliete sempre sentieri adeguati alla vostra preparazione fisica e alla vostra esperienza; se siete in gruppo (sempre auspicabile) scegliete in base al livello della persona meno allenata.

Considerate anche le vostre condizioni fisiche nel giorno dell’escursione. Se non siete al massimo della vostra forma cambiate itinerario e scegliete un sentiero più facile.

Siate pronti a rinunciare all’escursione se le vostre condizioni fisiche o di un membro del gruppo non consentono di camminare in sicurezza.

Piccoli oggetti che fanno una grande differenza

Ci sono quattro cose indispensabili da mettere nello zaino da trekking. Costano poco, pesano poco ma possono fare una grande differenza per la sicurezza:

  • Fischietto: il suono del fischietto arriva molto più lontano della vostra voce e con molto meno sforzo. In caso di cadute, questo piccolo oggetto può fare la differenza tra essere trovati velocemente e non. Molti zaini moderni hanno un fischietto incorporato, ma se il vostro zaino non ce l’ha prendetene uno.
  • Coperta termica: serve a coprire il ferito in attesa dei soccorsi per proteggerlo dal freddo o dai raggi solari. Non fatevi spaventare dal nome “coperta”, in realtà è un telo leggero e poco ingombrante.
  • Torcia: “non mi serve, tanto torno presto”. E se poi vi perdete? O se qualcuno si fa male e la durata dell’escursione si allunga a dismisura? Rimanere al buio rende più difficile l’orientamento, meglio evitare di restare senza luce.
  • Un paio di lacci di scorta: a volte succede, il laccio della scarpa si rompe. E sono guai, perché camminare con una scarpa non allacciata non è solo fastidioso, è anche pericoloso. Oltre a questa importante funzione di sicurezza, i lacci di scarpe sono utili anche per altri usi. Ad esempio chi fa cammini di più giorni e ha necessità di lavare la biancheria li può usare per stendere il bucato ad asciugare.

Se poi volete fare un piccolo investimento per la vostra sicurezza in montagna potete acquistare il riflettore Recco. La spesa è alla portata di tutti: circa 20-30 euro.

Si tratta di un piccolo dispositivo dal peso irrisorio (4 g) dotato di un transponder elettronico che risponde ai segnali di un rilevatore radar usato dai soccorritori alpini; si attacca a vestiti e attrezzature. Ideato per rintracciare più velocemente una persona sommersa da una valanga, è oggi usato non solo da sciatori e alpinisti ma anche da escursionisti e ciclisti.

Non necessita di alimentazione, funziona sempre (non dovete ricordarvi di accenderlo!) e non perde segnale. Inoltre è un sistema usato non solo in Italia ma in tutto il mondo.

Esistono modelli da zaino, da casco e la cinghia.

Questo articolo è dedicato a tutti i soccorritori che non sono più tornati

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