Un’alba a Istanbul

Questo post inizia in un letto, ma non è un racconto erotico. Quando inizia il sesso è già finito, e la protagonista di questo post non è una donna bensì la luce delle prime ore del mattino nella città più bella del mondo.

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Kemal dorme al mio fianco, di un sonno leggero. Io, invece, sono completamente sveglia. Da una piccola finestra entra la luce del mattino. È presto, il cielo ancora non è azzurro, è rosa. La notte, però, è già lontana. Mi siedo sul letto, come a guardare il silenzio. In una città chiassosa come Istanbul quando i rumori si fermano il silenzio è così presente da farsi concreto. Si può vedere e toccare. Per questo il primo mattino è uno dei momenti in cui Istanbul non è più semplicemente bella. Diventa incantevole.

Ciò che rende Istanbul una città unica è il cielo, perchè Istanbul è la città dei tre cieli. Altrove esiste un solo cielo, che nelle diverse ore del giorno cambia colore; qui un cielo lascia spazio a un altro, ognuno con una sua distinta personalità e propri sentimenti. C’è quello rosa del primo mattino, dolce e tuttavia misterioso, che ruba i segreti della notte senza donarli al nuovo giorno; quello azzurro e vitale delle ore diurne: è il cielo dell’allegria, delle partite a backgammon, del mare, del traffico; e poi c’è quello infuocato del tramonto, un cielo passionale e malinconico come un innamorato che sa di non essere ricambiato. La notte non ha cielo, perché i cieli di Istanbul di notte dormono. È il momento in cui il silenzio si fa concreto.

Vorrei andarmene prima che Kemal si svegli, per non salutarlo. La nostra notte è già finita, e in piena luce del sole l’incontro tra un cameriere di un büfe e una turista in viaggio da sola mi si potrebbe presentare per ciò che realmente è: nient’altro che un fugace episodio di sesso da vacanza.

Il silenzio però è così bello che non riesco ad alzarmi. E ora dalla finestra non entra più soltanto la luce rosa del primo mattino: ad essa si unisce il canto dei muezzin che richiamano i fedeli alla preghiera. Questo suono non disturba il silenzio, lo esalta. Alle orecchie di un’atea dell’Ovest non giunge il significato profondo di questo canto, ma un’indistinta melodia che sembra provenire dal passato, da un mondo che non esiste più. Invece è reale, sta avvenendo nel tempo presente e proviene dalla Moschea Blu.

È la moschea più vicina alla casa di Kemal. Ieri ha voluto mostrarmela dalla terrazza sul tetto. Ricordo di essere rimasta senza fiato per l’emozione: da qualunque angolo la guardo, la Moschea Blu è bellissima. Siamo stati sul terrazzo il tempo di una sigaretta, poi siamo andati in camera sua e per farlo abbiamo dovuto attraversare il salotto, dove la madre di Kemal guardava annoiata la televisione. Non ha battuto ciglio nel vedere il figlio dirigersi verso la camera da letto con una ragazza mai vista prima. Mi ha salutata gentilmente. Ci sarà abituata, ho pensato. La sera prima Kemal mi aveva fatto vedere sul cellulare la sua collezione di turiste. Sessualmente parlando è stato in tutti i continenti. Ma in realtà non è mai uscito dalla Turchia. Problemi di visto, mi ha detto.

So che il canto durerà alcuni minuti. Mi stringo a Kemal, e chiudo gli occhi, in ascolto. La città ancora dorme, il sole non ha fretta di sorgere. Mi resta un po’ di tempo prima che la mia carrozza si trasformi in zucca.

In questo abbraccio, che fa incontrare la sensualità di due giovani moderni ed indipendenti con la solennità di un canto religioso, sta la vera anima di Istanbul: una città di contrasti, colori ed emozioni, dove sensualità e solennità convivono senza alcuna competizione.

Quando termina il canto, mi alzo. Kemal si sveglia, mi saluta ma è troppo pigro per accompagnarmi alla porta. Io preferisco così. Chiusa dietro di me la pesante porta della casa di Kemal, mi dirigo verso il mio ostello. Non so bene dove sia, vado a istinto. Potrei sbagliare, ma che importa? Istanbul è così bella che perdersi è un indulgere nei propri piaceri. Attraverso una città che ancora dorme, immersa nei sogni più reali, quelli che precedono il risveglio. Non mi sono mai sentita così libera.

Quando arrivo all’ostello il sole, spazientito, ha preso di prepotenza il suo posto nel cielo. Io invece chiudo gli occhi, e tutto si fa nero.

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