Sono una nomade stanziale

Questo post è un goffo e mal riuscito tentativo di mettere per iscritto un lungo processo interiore che mi ha portata a cambiare totalmente l’immagine che avevo di me. Non riesco a definirmi viaggiatrice, ciò che mi definisce è invece l’espressione nomade stanziale: una persona che è andata via perchè non stava bene dov’era e che ora vuole stare dov’è per avere un posto a cui tornare ogni volta che decide di partire.

Questo post è anche un goffo e mal riuscito tentativo di ringraziare le persone che si sono prese la briga e il tempo di raccontare online le loro esperienze: con i loro racconti mi hanno dato moltissimi spunti di riflessione e mi hanno fatto capire diverse cose di me stessa, fino ad accettarmi per ciò che sono.

 

La tagline è la frase che sta sotto al titolo di un blog, una sintetica descrizione o se volete una sorta di etichetta. La mia dice: “Il blog per chi non sta fermo”.

Mi sembrava una frase adatta a me, persona dal carattere irrequieto, che si annoia facilmente, che detesta star seduta, che ha bisogno sempre di nuovi stimoli. La frase era stata scelta in relazione all’argomento del blog, i viaggi ovviamente, e per molto tempo la scelta mi è sembrata coerente ed appropriata.

Senonchè più leggevo altri blog di viaggi più mi sembrava che quella frase fosse disonesta. Come se agli occhi dei miei lettori mi volessi presentare per qualcosa che non sono. Come se volessi appropriarmi di un titolo che non mi spetta. Non era menzogna, a dire il vero, perchè mi considero ancora una persona che non sta ferma, ma poteva facilmente essere fraintesa.

Mi sono detta che non è che sto poi così tanto in movimento. Anzi, siamo sinceri: sono stata parecchio ferma. Il mio viaggiare si limita alle due-tre vacanzine all’anno concesse dal lavoro d’ufficio. In tutta la mia vita non sono stata in viaggio per più di 20 giorni consecutivi (se si esclude il corso di spagnolo in Andalucia o il Leonardo a Derry). In termini quantitativi (e a seconda dei casi anche qualitativi) ciò non è nulla rispetto ai viaggi compiuti dai blogger che stanno via mesi o anni. E questo viaggio di mesi o anni, che pure ho sognato e il cui itinerario ho più volte pianificato, non arrivava mai nella mia vita. C’era sempre qualcosa che mi teneva qui. Finchè un giorno ho fatto la scoperta dell’acqua calda: semplicemente non voglio andare via.  Mi è apparso evidente che il bisogno emotivo di piantare radici, in parte economiche ma principalmente affettive, è più forte del desiderio di esplorare questo nostro meraviglioso e variegato mondo.

Come sono arrivata ad affermare questa verità banale ma sconcertante (ma come, non vuoi l’avventura, l’esplorazione, la natura, nuovi orizzonti, libertà)? Strade lunghe e per molto tempo parallele che però a un certo punto si sono incrociate.

a) Il trovare sempre scuse.

Mi sono sempre detta che se uno vuole lo fa. Il “lo” può essere qualunque cosa, viaggi a lungo termine inclusi. Quando c’è la voglia si trovano la forza, il coraggio, i soldi, le capacità, l’energia, tutto. Quando non si fa qualcosa semplicemente è perchè non si ha voglia di farla. Talvolta non è facile ammettere a noi stessi ciò che realmente vogliamo. Magari perchè è meno “cool” di ciò che diciamo ad alta voce di volere. Certo, vuoi ammettere? Vai in giro un anno, due, e agli occhi di tutti diventi subito una figa. Qualcuno che lavora in ufficio si è mai sentito dire “Ah, beata te, che invidia, che vita strafiga che fai”? O magari perchè ammettere una verità su noi stessi, anche banale, può rimettere in discussione tutta l’immagine che abbiamo di noi stessi.

Io di momenti d’oro per andarmene dall’Irlanda ne ho avuti più d’uno, eppure ogni volta qualcosa mi ha tratteneva. Il non decidere significa aver già deciso. Ciò che volevo era stare qui. Credo sia dovuto alla fatica enorme di costruirmi a Dublino una cerchia sociale e delle relazioni affettive che si possano definire realmente tali (amici che siano più che semplici compagni di sbronze, per intenderci).

b) Leggere le esperienze altrui

Trovo molto utile per chiarirmi le idee su me stessa leggere le esperienze degli altri. Meglio se di persone che hanno fatto scelte opposte alle mie, per avere diversi punti di vista con cui valutare la mia situazione.

In quest’ultimo anno mi è stato molto utile per ridefinire me stessa leggere i blog dei miei travel guru. Ho continuato a trovare la lettura piacevole, ma sempre più avvertivo un distacco rispetto all’oggetto della narrazione. Lo stile di vita che prima mi sembra affascinante ora, sempre più, mi sembrava stressante. Se una volta leggere i loro post mi faceva venire una voglia spasmodica di partire, nel tempo hanno iniziato a farmi venire ansia. Anche quando i bloggers affermavano con convinzione di volersi fermare in un luogo e vivere una vita stanziale di fatto erano sempre di qua e di là. Un giorno scrivevano “che bello essere a casa” e il giorno dopo “WOW! ho prenotato il prossimo volo”. Cazzo, riposati un attimo!, mi veniva da dire. E questa reazione, miei cari quattro affezionati e attenti lettori, non vi sembra in contraddizione con la tagline “per chi non sta fermo”?

c) Realizzare che nella mia vita ci sono delle costanti

Costante 1: Vivere all’estero.

Ho sempre voluto andare via. In Italia non mi sono mai sentita a mio agio e ho iniziato a sognare di andarmene all’estero il primo giorno in cui ho aperto un libro d’inglese (prima media). All’età di quattordici anni risale il primo tentativo, fallito, di emigrazione. Partecipai alle selezioni per le borse di studio Intercultura con la speranza di trascorrere due mesi in Nuova Zelanda. Dopo quello ci fu un lungo letarlo in attesa di potermi trovare un lavoro e pagarmi quindi la mia esperienza all’estero. I miei genitori soldi per mandarmi a una vacanza-studio non ne avevano. Io passavo ore a guardare i patinati cataloghi e sognare il giorno in cui me ne sarei andata. Quando quel giorno arrivò, avevo 18 anni e pesavo 43 chili. Le valige che mi portai dietro ne pesavano più di 30. Ragazza alla pari a Londra, sei mesi in teoria, ne rimasi soltanto uno. Mi iscrissi all’università e di nuovo mandai in letargo il mio sogno. Appena laureata, tirai fuori dal cassetto il sogno dell’esperienza all’estero e partecipai alle selezioni per il progetto Leonardo. Furono tre mesi bellissimi e tornata in Italia non riuscii più a tollerare lo stile di vita dei miei connazionali. Un anno dopo presi un aereo di sola andata e dopo sei anni non mi sono mai pentita della mia scelta.

Il vivere all’estero è sempre stato nella mia mente qualcosa a lungo termine. Anche le prime esperienze di pochi mesi erano viste come un “tastare il terreno”, imparare e prendere informazioni in attesa del grande passo, il vero desiderio: il trasferimento permanente. Sono venuta in Irlanda decisa a starci.

Costante 2. Voler andare via per lunghi periodi nello stesso posto e ritornare esattamente da dove sono partita.

Ogni volta che mi sono immaginata in viaggio non mi sono vista a fare il round the world trip, o partire in un paese e poi chissà o visitare cinque diversi paesi in meno di due mesi. Mi vedevo sempre a stare in un paese per tutto il tempo concesso dal visto. Magari partire per un’esperienza di lavoro. Poi tornare. Starmene a Dublino per dei mesi. E poi ripartire per un altro luogo in cui stare ferma per un po’. Partire sapendo di tornare, e sfruttare il più possibile il tempo trascorso in ciascun paese.

Le montagne colorate di Zhangye

Conclusione

Leggi qui e leggi lì, pensa e ripensa, programma e rimanda, sono giunta alla conclusione che in questi sei anni in Irlanda tutte le mie scelte sono tutte state indirizzate verso lo stesso obiettivo: mettere radici. Il viaggio avventuroso di fatto non mi ha mai attirata. Avrei voluto fare più esperienze, vero, ma queste andavano contro l’obiettivo primario e quindi le ho scartate. E quest’anno che nella mia vita affettiva c’è stata una rivoluzione copernicana a riesco ad accettare questa realtà con uno spirito nuovo: la consapevolezza che per anni ad alta voce ho inseguito i sogni altrui, mentre dentro di me stringevo i denti per realizzare i miei veri desideri.

Come ho già detto, mi sento nomade stanziale perchè non sono più nè qui nè lì, è una sorta di ibrido tra il viaggiatore e chi invece non si è mai mosso. Sono una persona a cui piace andare tanto quanto tornare.

Se me lo permettete, quindi, si può dire che sono ancora una persona che non sta ferma, nel senso che alle mie due-tre vacanzine ci tengo molto e cerco di ritagliare per il mio andarmene via quanto più tempo possibile. Ma con la certezza di avere un luogo, fisico ed emotivo, a cui tornare.

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Comments

    1. laragazzaconlavaligia says:

      :)

  1. Cavolo, questo post mi rappresenta in pieno…almeno tu vivi all’estero…io ci ho provato, ma dopo un mese sentivo sempre il bisogno di tornare…ho troppi affetti qui in Italia, per me contano troppo e anche se penso che un’amicizia , se vera , si possa conservare anche se si abita distanti, ho troppo bisogno della presenza fisica dei miei amici. Da quando poi ho comprato casa ho capito che io qui in fondo sto bene, ma questo non toglie che io ami viaggiare e che continuerò a farlo…guai a togliermi i miei due viaggetti annuali, anche ora che ho una bambina. Spero che in ogni caso il tuo blog continuerà ad esistere, mi piace molto come scrivi…ciao dall’Italia!

    1. laragazzaconlavaligia says:

      ciao Chiara, grazie per aver commentato. Ho fatto un po’ di fatica a scrivere questo post, che per me significava molto, ma e’ difficile tradurre pensieri e sensazioni in parole. Io dico sempre che ognuno e’ una storia a se’ e cio’ che rende felice me potrebbe non rendere felice te. La cosa importante, pero’, e’ che ci hai provato. Non ti restera’ nella testa quella fastidiosa domanda: “E se l’avessi fatto?”. Ci hai provato e hai capito che per te altre cose sono piu’ importanti.

      Un abbraccio, ovunque tu decida di vivere… o se preferisci, da dovunque tu decida di partire :)

  2. Laura says:

    :) belle riflessioni!

  3. Paolo says:

    Condivido a pieno la riflessione sulla “mancanza di coraggio” come scusa che molti si danno quando semplicemente non c’è nulla di coraggioso nel muoversi. Se ti va di farlo lo fai. E’ una scelta legittima come qualsiasi altra e non più o meno impegnativa di altre. Bel post!

    1. laragazzaconlavaligia says:

      ti ringrazio del commento. Scrivere questo post e’ stato quasi un parto per me, son contenta che sia piaciuto.

      Un saluto

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