Turismo solidale in Nepal: intervista a Barbara Monachesi di Apeiron

Il Nepal sorridente: un luogo dove tutti sono felici. Il paradiso per gli appassionati di trekking ed alpinismo e la meta ideale per chi vuole riscoprire la propria spiritualità. Questa è l’immagine che ci vendono i tour operator. Ma cosa nasconde questa facciata sorridente? Come entrare in contatto con la realtà locale e praticare un turismo che non danneggi cultura, tradizioni e ambiente?

L’ho chiesto a Barbara Monachesi, Responsabile Progetti in Nepal di Apeiron Onlus.

Barbara Monachesi, presidente di Apeiron Onlus

 

Barbara Monachesi, presidente di Apeiron Onlus

Ciao Barbara, grazie per il tempo che ci hai concesso. Potresti presentare in breve l’associazione Apeiron?

Apeiron attualmente ha una doppia anima, è un’associazione nepalese in Nepal e un’associazione italiana in Italia che lavora a supporto di quella nepalese. Lavoriamo per raggiungere la parità di genere: in tutto quel che facciamo l’obiettivo ultimo è contribuire a far nascere una società più equa da quel punto di vista.

Le nostre attività si dividono in attività diemergenza e di prevenzione. Risposta nel caso ci siano già state delle violenze. Ad esempio abbiamo una casa-struttura protetta a Kathmandu, CASANepal, dove le donne vittime di violenza vengono ospitate e intraprendono un percorso che mira al raggiungimento del riscatto sociale e dell’indipendenza economica. Stiamo supportando il governo nepalese nella gestione di altre 7 strutture sparse nel paese, sempre a sostegno di persone vittime di violenze causate dalla disparità di genere.

Le attività di prevenzione sono azioni di sensibilizzazione, advocacy, microcredito e avvio di microimprese. Queste ultime sono intese come strumenti per riequilibrare la disparità di genere.
Al momento abbiamo 14 progetti attivi in diverse parti del paese, anche grazie al supporto di diverse organizzazioni italiane e tanti privati italiani.

CASANepal
foto: Giacomo d’Orlando

Ci parli della condizione delle donne in Nepal?

In Nepal la società è estremamente patriarcale, l’uomo ha una posizione dominante e la donna una posizione sussidiaria. Tanti dei problemi di povertà del paese trovano radici primarie in queste distinzioni che vengono fatte.

Ad esempio parlando dei bambini di strada… non è la povertà in sé ad averli portati lì ma le violenze all’interno della loro famiglia e spesso nemmeno violenze subite da loro, ma dalla madre, che portano a una disgregazione della famiglia e a complesse conseguenze. Poi una volta che si vive per strada riprendere in mano la propria vita è molto complicato.

Lavorare per eliminare le violenze in famiglia permette di evitare che tanti bambini facciano quella fine. 

Vivi stabilmente in Nepal? Da quanto tempo? Cosa ti affascina di questo paese?

Sì, dal 2007, ma ero già stata in Nepal con visto turistico nel 2005 e nel 2006. La prima volta che son venuta qui volevo fare volontariato. Per mesi ero stata in contatto con un’associazione nepalese, ma una volta arrivata ho scoperto che non esisteva. Al momento ero spiazzata, ma sono rimasta e lì ho scoperto Apeiron. Non ho fondato io l’associazione, esisteva già come associazione italiana in Nepal.

Il paese sicuramente è bello, ma non è per le bellezze paesaggistiche che sono rimasta. Durante il mio primo viaggio per raggiungere la sede dell’associazione dovevo passare tutti i giorni per una zona dove vedevo un gruppo di bambini che vivevano per strada. Uno di loro ha iniziato a seguirmi ed è diventato il mio figlioccio, assieme al fratello. Mi ero affezionata e prima di partire ho cercato un posto dove potessero essere accolti, un posto serio perché purtroppo non tutte le strutture hanno personale qualificato in grado di affrontare queste situazioni.

Sono ripartita per l’Italia con l’idea di tornare e rivederli. All’epoca del mio secondo viaggio le persone che gestivano Apeiron stavano lasciando il paese e cercavano qualcuno a cui lasciare il testimone. Io volevo vedere i miei figliocci, mi sono innamorata del mio lavoro, ho conosciuto il mio attuale marito… ed ecco che son rimasta.

Ho letto sul vostro sito che è possibile visitare il Nepal con il supporto di Apeiron. Come funziona?

Non siamo un’agenzia viaggi, ma essendo presenti sul territorio da molti anni abbiamo sviluppato diversi contatti con agenzie e operatori locali.

Offriamo quindi a chi vuole vedere un paese che ha tante facce la possibilità di costruire degli itinerari tramite agenzie locali, senza passare tramite un grande tour operator europeo, e quindi di capire qualcosa di più. Non si tratta solo di guardare le montagne, i templi, i monasteri e le altre bellezze paesaggistiche del paese ma anche di avere la possibilità di conoscerne la società. Ad esempio visitando le sedi di alcuni progetti si possono scoprire paesi e villaggi che non vengono mai inseriti nei circuiti turistici.

donne in un villaggio nepalese

Quali sono i vantaggi di appoggiarsi ad Apeiron per organizzare il proprio viaggio in Nepal?

Un vantaggio possibile è quello dei costi, perché prenotando direttamente con operatori locali si salta il passaggio con la grossa agenzia europea e quindi magari si spende un po’ meno. La verità però è che non ho mai veramente fatto i conti e che questo vantaggio secondo me è secondario.

Il vero vantaggio è quel che ti dicevo prima: contattando agenzie locali o singole guide del posto si possono visitare dei luoghi che diversamente non si potrebbero conoscere e di vedere le diverse facce del paese di cui ti parlavo prima, che spesso si perdono con gli itinerari turistici classici.

Mi è capitato spessissimo di trovare persone in Nepal per turismo o alpinismo convinte che in Nepal siano tutti felici. Lo sai che il Nepal è uno dei pochi paesi al mondo dove la principale causa di morte per le donne in età riproduttiva è il suicidio (spesso causato dalle violenze di genere)? Tutti sorridono ma poi sotto ci sono altre realtà che non si possono cogliere con un tour che ti porta da un’attrazione all’altra.

Questa del Nepal sorridente è un’idea che è una mezza verità, una realtà distorta che viene da ciò che ti vogliono far conoscere le riviste patinate. Non voglio dire che il Nepal non sia un posto speciale anche dal punto di vista della spiritualità, dell’energia che si respira (anche peer chi non è religioso o è scettico), ma spesso molte persone che vengono qui vedono solo una delle tante facce del paese.

Ora ti faccio una domanda che può sembrare provocatoria ma in realtà il mio intento è quello di cercare di capire meglio la situazione. Ho letto che chi visita il Nepal con il vostro appoggio può entrare in CASANepal, la vostra struttura protetta per donne vittime di violenza e discriminazioni. Apprezzo la vostra trasparenza, ma non si rischia in questo modo di trasformare queste persone in una sorta di attrazione turistica del dolore?

CASANepalè un posto magico, dove le persone sono veramente sorridenti. È un posto immerso nel verde dove si respira un’aria rilassata. Non sono io a dirlo, ma tutte le persone che sono venute a trovarci.

Non sono persone che vengono per fare foto alle donne ospiti. Sono in genere persone interessate a quello che facciamo: invece di fare una chiacchierata nel mio ufficio, che è pieno di scartoffie, le invito a fare una chiacchierata a CASANepal. Si possono vedere le ragazze passare, magari i loro figli, a volte sono loro stesse ad avvicinarsi ai visitatori. A volte invece qualcuna non ha piacere di essere vista e si ritira un po’, noi non insistiamo assolutamente perché ci sia un contatto tra le donne ospiti e i visitatori. Raccontiamo qualcosa delle loro storie senza fare nomi e cognomi e senza indicare questa o quella.

Finora non abbiamo mai avuto gruppi, abbiamo sempre avuto una-due persone, e magari anche per questo motivo non c’è mai stata alcuna tensione. Se però dovesse esserci la nostra priorità sarà la sicurezza delle nostre ragazze ospiti.

donna nepalese
foto: Giacomo d’Orlando

Cosa significa per te l’espressione “turismo solidale”? Si può davvero fare turismo solidale?

Secondo me si può fare turismo in maniera responsabile quindi avendo cura che qualunque attività svolta nel paese visitato non abbia un impatto a livello ambientale, economico, sociale.

Per fare turismo solidale in Nepal, come in altri paesi, occorre saper ascoltare e non giudicare. Sento fare tanti confronti, ma questo è un paese molto diverso dall’Italia e dagli altri paesi europei. Ci sono aspetti in cui sono più indietro, ma altri in cui sono più avanti, come la spiritualità e la ricerca di se stessi, aspetti non necessariamente legati alla religione.

Molte persone vengono qui con l’atteggiamento “pago, pretendo”, noi la chiamiamo white supremacy. Sono persone che pensano di poter trattare la popolazione locale con poco rispetto, e questo purtroppo avviene anche nel mondo della cooperazione.

Che consigli dai dunque a chi vuol fare turismo solidale?

Il mio consiglio è di avvicinarsi alle piccole situazioni locali. Una cosa che mi piace molto fare con mio marito e le mie figlie è soggiornare nelle homestay comunitarie, dove c’è una sorta di rotazione per cui oggi ospita una famiglia, domani un’altra famiglia. Ti avvicina di più alla popolazione locale rispetto al megalbergo della catena che puoi trovare ovunque.

Uno dei miei figliocci mi disse “nella prossima vita noi nasciamo turisti e voi bambini di strada” e con questo intendeva dire che alla fine è una questione di fortuna. Lo dimentichiamo, ma dove nasci fa molta differenza. Quindi non trattiamo le persone di un paese che hanno un PIL più basso del nostro come se fossero dei poveri sciocchi. Non lo sono. Il turista solidale è quello che sa godersi l’esperienza e tornare arricchito senza aver impoverito le persone ospitanti. È importante ricordare che siamo ospiti.

Secondo te il turismo è una risorsa o una minaccia per la sopravvivenza delle tradizioni? Penso a situazioni in cui le tradizioni che vengono snaturate o vissute in maniera meno profonda per far felici i turisti.

Purtroppo quel che dici è vero, da qui la necessità di lavorare per far in modo che chi accoglie non si senta in difetto per non poter assicurare al turista gli stessi comfort che troverebbe nel proprio paese. Vale anche il contrario, ovvero il turista non deve attenderseli.

A volte lungo i percorsi trekking vedo nepalesi che fanno la pizza, fanno la pasta.. non ha senso, per far questo devono comprare cose che lì non crescerebbero.

Ci vuole pulizia e professionalità nella gestione delle strutture ricettive, ma senza snaturare ciò che si è per far contento qualcun altro.

Ti ringrazio per questa interessante chiacchierata. In chiusura volevo chiederti come può chi vive in Italia aiutare la vostra associazione?

Le persone che sono venute a trovarci ed hanno toccato con mano la nostra realtà sono quelle che poi sono rimaste più affezionate negli anni, ma anche chi vive in Italia può darci una mano.

Le donazioni non posso dirti che non servono, purtroppo ad oggi sopravviviamo soprattutto grazie a quelle. Credo però sia importante che le persone cerchino veramente di capire. Non c’è bisogno di arrivare in Nepal per sentire parlare di violenze di genere. Se già leggendo quello che facciamo qualcuno riesce a pensarci e a sensibilizzarsi un po’ è un primo risultato, che poi può portare al desiderio di informarsi di più. Non ce ne rendiamo conto, ma questa discriminazione è un po’ in tutti noi .

In Italia sono attivi gruppi di volontari che organizzano eventi per raccogliere fondi, raccontare cosa facciamo, cosa vorremmo fare e parlare delle questioni di parità di genere.

Per saperne di più e per dare il tuo contributo

Sono tanti i modi in cui puoi informarti e aiutare l’associazione Apeiron:

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Comments

  1. Bellissimo articolo… condiviso molti punti sui rischi e le risorse del turismo… tanto più che andrò da poco in Nepal e conosco, indirettamente, Apeiron visto che è partner di una Fondazione presso cui sono Volontaria qui a Milano

    1. laragazzaconlavaligia says:

      grazie Valeria, se poi quando torni vorrai raccontarci la tua esperienza contattami!

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