Un dj nelle terre selvagge

Non ascolto la radio perché ci sono i dj. Mi infastidiscono le loro risate finte, così finte che alcuni di loro a furia di far finta di essere sempre allegri e gioiosi finiscono in depressione (confessione di un dj conosciuto in Irlanda). Mi infastidiscono le conversazioni superficiali e le battute scontate con cui molti dj riempiono i buchi tra una canzone e l’altra. Mi infastidisce il voler essere simpatici a tutti i costi.

Allora perché oggi sono a parlarvi di Ritorno alle terre selvagge, un libro scritto da Frank Lotta che di professione fa il dj? Perché quando ho letto la presentazione di questo libro ho pensato che fosse qualcosa di molto diverso dalle mie letture di viaggio abituali e mi sono detta “mmm… sembra interessante”. Ero curiosa di conoscere un nuovo punto di vista, di leggere un racconto di viaggio scritto da una persona che, apparentemente, non ha nulla a che fare con me.

Sulla carta Frank Lotta è “un figo”. Uno che ce l’ha fatta. Uno che è riuscito a fare il lavoro che sognava, arrivando ai massimi livelli. DJ a Radio Deejay, una delle più importanti radio nazionali. Figo no? Eh ma non è tutto oro quel che luccica… e anche i ricchi piangono.

Una crisi personale spinge Frank a compiere un primo viaggio in solitaria, il Cammino di Santiago, che innesca in lui un’inguaribile wanderlust. Ritorno alle terre selvagge è il racconto della sua seconda grande avventura da viaggiatore.

Di cosa parla Ritorno alle terre selvagge

Dopo il Cammino di Santiago, Frank Lotta ha ancora bisogno di scuotersi dall’apatia, di cercare risposte a tante domande che si riassumono in una sola: “ma io, che ci faccio in questa vita?”.

Come “turbamento volontario” sceglie un viaggio dal profondo significato simbolico. Mi verrebbe da dire un viaggio dal respiro epico ma dal gusto contemporaneo. Parte per l’Alaska per percorrere a piedi lo Stampede Trail. Questo nome vi suona forse familiare? Non c’è da stupirsene: questo sentiero tra i ghiacci dell’Alaska è lo stesso percorso dal giovane Chris McCandless, il viaggiatore che è diventato simbolo di libertà e autenticità. Sì, insomma, il protagonista di Into the Wild.

Per raggiungere il bus 142 dove Chris visse gli ultimi giorni della sua vita, e soprattutto per tornare vivo, Frank Lotta deve vedersela con la paura degli orsi, il freddo, un fiume gelido e un gps che, proprio come i peggiori amici, ti lascia proprio nel momento del bisogno.

La verità però è che non è importante dove andrà e cosa farà. Per dirlo con parole sue, “L’importante è ciò che accadrà dentro di me”.

Perché leggerlo

Ritorno alle terre selvagge è il più romanzato tra i libri di viaggio che ho letto. Ma su questo è onesto: una nota iniziale ci avvisa subito che “Benché molto sia stato cambiato per esigenze narrative, nella sua essenza deve essere considerato realtà”.

Io, dura e pura, a leggere questa nota mi ero subito irrigidita. Senonché la prosa scorrevole del libro, da romanzo appunto, me l’ha reso così piacevole da spingermi a leggere una pagina dopo l’altra e a finirlo in meno di due giorni.

Al  termine della lettura, liberatami dai pregiudizi iniziali, l’ho trovato un libro interessante, capace al tempo stesso di farmi riflettere e di farmi sognare terre lontane in cui credo non avrò mai coraggio di avventurarmi.

Decisamente un bel libro per rinfrescare le torride giornate estive pensando ai ghiacci dell’Alaska. Food for thoughts senza perdersi in speculazioni filosofiche. Un racconto in prima persona che ci porta all’interno del mitico bus 142.

copertina libro Ritorno alle terre selvagge di Frank Lotta

Il finale… o forse no

A me però è rimasta una domanda: il prossimo viaggio dove sarà? Forse qui? :)

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Comments

  1. Frank says:

    Grazie per aver superato i tuoi pregiudizi ed essere uscita dalla tua zona di comfort :)

    1. laragazzaconlavaligia says:

      grazie a te per averci raccontato la tua avventura!

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